Ho visto un film su Bruce Springsteen che mi ha davvero colpito. Racconta di un ragazzo cresciuto in una famiglia difficile, con un padre spesso violento e alcolizzato. Da bambino, Bruce si rifugiava nella sua stanza, spaventato da quell’atmosfera pesante.
Crescendo, ha trovato nella musica la sua valvola di sfogo: armonica, chitarra e testi che raccontavano il suo dolore, le sue paure, ma anche la voglia di riscatto.
La paura di diventare come suo padre, chiuso e incapace di esprimere affetto, è stata la spinta a seguire la musica con tutto sé stesso.
La paura di diventare come suo padre, chiuso e incapace di esprimere affetto, è stata la spinta a seguire la musica con tutto sé stesso.
Il suo viaggio artistico è stato fatto di piccoli locali e grandi palchi, accompagnato da un mentore calmo che lo ha guidato. La sua relazione con una giovane ragazza madre, il trasferimento lontano dal New Jersey e i momenti di depressione sono parte della sua storia.
Ma è stato proprio nel live, con brani come Born to Run e il leggendario concerto a Broadway, che Bruce ha trovato il modo di raccontarsi, di affrontare la sua sofferenza. Attraverso le sue canzoni, ha saputo connettersi con il pubblico, condividendo le sue lotte e trasformandole in forza.
E’ stato proprio nel live, con brani come *Born to Run* e il leggendario concerto a Broadway, che Bruce ha trovato il modo di raccontarsi, di affrontare la sua sofferenza.
Questo film mi ha ricordato quanto la musica possa essere una vera terapia, capace di far emergere il dolore e trasformarlo in qualcosa di potente e liberatorio.





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