Se si sta utilizzando Internet Explorer premere, in alternativa al pulsante, il seguente link Copertina

Cerca nel blog

domenica 14 agosto 2011

Gennargentu.


  
           "Come era bello, verde, fresco, vaporoso la prima volta che lo vidi! Superba ne era la sua flora, freschissime, limpide e abbondanti le sue acque, impagabile il suo panorama". Con queste parole si apre “Cenni sul Gennargentu” di Domenico Lovisato, insigne studioso della natura della Sardegna e delle sue caratteristiche ambientali, pubblicato esattamente cento anni fa. Nella sua opera il professor Lovisato descrive
 dettagliatamente il “gigante dell'alpe sarda” negli aspetti botanici, faunistici, geo-morfologici e climatici, soffermandosi in particolare sulle attività che da lì a poco avrebbero portato alla costruzione del rifugio intitolato alla memoria del generale Lamarmora, inaugurato il 22 settembre 1901. In effetti Lovisato si può veramente considerare il prosecutore delle attività intraprese dal Lamarmora, avendone perfezionato ed approfondito le ricerche nei diversi ambiti delle scienze naturali. Sebbene vissuti in periodi differenti dell'800 la grande ammirazione per il generale-geologo piemontese spinse il professore istriano, ma ormai naturalizzato sardo, a proporre anche la dedica della cima più elevata del Gennargentu al Lamarmora. Inoltre, dimostrando una non comune lungimiranza, volle che nei pressi, venisse edificato un rifugio montano, che «colla robusta compagine delle sue dure e tenaci pareti, protegga dall'imperversare della bufera il pastore e l'ardimentoso turista». 
Per scegliere il luogo migliore dove far sorgere il piccolo ma accogliente edificio (purtroppo oggi in rovina) e nel contempo misurare trigonometricamente, con la collaborazione dei topografi dell'Istituto Geografico Militare, l'esatta quota delle cime, Lovisato trascorse diversi giorni accampato sul monte Bruncu Spina, fino ad allora ritenuto la massima elevazione, e sul meno conosciuto ma rivelatosi più alto “crestone schistoso”, ribattezzato punta Lamarmora. Il nome originale Perda Crapias, pietra spaccata in dialetto, fu tuttavia conservato in aggiunta al nuovo e riportato anche nelle carte topografiche.         

Nel periodo trascorso sulle vette lo studioso rimase particolarmente colpito dalla bellezza del tramonto e del sorgere del sole, tanto da dedicare ben più di un accenno al mutare dello scenario nell'alternarnarsi tra il giorno e la notte. 



LA BARBAGIA In quegli anni, esattamente nel 1889, vide la luce anche un altro interessantissimo libretto, “La Barbagia e i Barbaracini in Sardegna”, scritto dall'allora primo cittadino di Aritzo, Giuseppe Luigi De Villa. Nella sua opera, definita «segno dell'allegrezza che allieta le mie verdi e ospitali montagne di Barbagia, pel compimento dell

a ferrovia», De Villa descrive con particolari la storia, la natura e le popolazioni delle “terre alte” della Sardegna, dimostrando una non comune competenza in molteplici discipline
 umanistiche e scientifiche. La lettura, sempre piacevole, si fa interessantissima nella descrizione della storia delle Barbagie che, dai tempi di Amsicora e Josto, passando per Ospitone e le lotte contro i Saraceni, giunge ai giorni nostri. Fiero della sua appartenenza alla comunità barbaricina, De Villa non manca di ricordare l'importanza di queste genti e di queste contrade alla causa della indipendenza della Sardegna, riportando quanto scritto in versi dal poeta cagliaritano Ilfedrico che, intorno all'anno mille, incitava i discendenti degli Iliesi ad intervenire (con successo) contro gli invasori Saraceni e il loro re Museto: «Ia qui cheret torrare - Museto ad custa terra - armemos nos in guerra - sa Patria pro salvare - quale est su Sardu e quale - qui a su primu signale - non si fatat Golia? - lu ispantent sos tormentos? - pro tales argumentos - unidos et cuntentos - curramus ad su mare». 


GLI ABITANTI Il sindaco- scrittore descrive di paesi della Barbagia di Belvì, da lui individuati in Aritzo, Belvì, Desulo, Gadoni, Meana Sardo e Tonara. Dalle caratteristiche fisiche e caratteriali degli abitanti, alla foggia del vestiario, alle tradizioni enogastronomiche, attività e commerci, scopriamo un quadro preciso e talvolta percorso da un sottile umorismo di quanto avrebbero potuto trovare i turisti, attesi, è proprio il caso di dirlo, “a vagonate”, grazie alla nuova linea ferroviaria Cagliari - Mandas - Belvì.
Naturalmente non manca una parte dedicata all'ambiente ed alle cime più alte del massiccio, al racconto delle bellezze ma anche del cammino reso lento dalla fatica tuttavia sempre «facile e sicuro, cogli occhi rapiti e divaganti in quel panorama dell'orizzonte che si discopre grado a grado e più s'allarga fino a raggiungere la vetta» dalla quale «tutta l'Isola è discoperta all'occhio dello spettatore, intorno intorno fino al mare, come in un quadro immenso, così lieto di gran luce, così vario nelle linee infinite, così sempre nuovo».


I PERCORSI Come Lovisato anche De Villa descrive bene i luoghi nei quali si effettuava l'ascesa: «allo scorcio di giugno la montagna è tutta verdeggiante d'erba montanina, minu

ta, fragrante e tutta gaiamente dipinta di viole mammole azzurre e bianche, stelleggiata di 
margheritine, odorosa di serpillo, di timo, garofani selvatici, digitale e tanti altri fiori dai colori più lieti, dai profumi più intensi e squisiti». Tuttavia ad un certo punto ne evidenzia la mancanza di vegetazione ed «il terreno quasi nudo, arenoso, slavato; non vi ha che muschio e qualche erbaccia che spunta nel cuor della state brucata dagli armenti e dai mufloni». L'apparente contraddizione, anche con il racconto di Lovisato, si spiega nel maggior dettaglio con il quale De Villa indica la successione delle fasce altitudinali ed essendo meno abituato dell'istriano alle alte quote, si meraviglia per la scarsa vegetazione cacuminale.






IL CIELO ROSSO Non vi è invece alcuna discordanza sul grande fascino di un'altra veduta meravigliosa, «il levarsi del sole osservato da questa altezza sublime» e della «misteriosa preparazione di questa comune e già troppo vecchia novità del farsi giorno». Come saggiamente suggerito «il tempo più opportuno a questa osservazione spettacolosa è nel mese di luglio, permettendo allora la temperatura di poter passare la notte nella montagna senza battervi i denti per il freddo in attesa del gran momento» e, dopo un breve ma apparentemente interminabile momento nel quale esiste la notte al suo cospetto, «il sole diventa rosso che pare di sangue, poi come una palla di fuoco, il cielo e il mare avvampano di un grande incendio e la luce sorride alle cose e ogni luogo ravviva e abbellisce».





RAGAZZI DELLA LEVA Proprio in corrispondenza della cima transita il più elevato percorso che unisce il versante occidentale a quello orientale del Gennargentu. Questa sorta di “alta via” ante litteram era utilizzata, in particolare, dai ragazzi della leva che dai paesi si recavano al distretto militare di Lanusei, guidati dai rispettivi sindaci. A questo proposito De Villa annota come «una volta, sulla cima, un giovialone gagliardo che poco prima aveva inteso spiegare delle escursioni di De Lamarmora su quei gioghi, mi dimandò. Scusi signor Sindaco, da quale parte guardava quel signore col cannocchiale?» alla risposta .. da ogni parte, volle guardarvi un po' con il suo e.. «applicatosi un barilotto di vino alla bocca, girando su se stesso, bevette come un turco al cospetto di tutta la Sardegna».



ESCURSIONI Ancor oggi è possibile ripercorrere questi antichi tracciati e immedesimarsi con grande facilità nei personaggi che li hanno calcati, sentendone quasi la presenza, e provare emozioni e sensazioni che solo territori selvaggi come questi sanno trasmettere. L'itinerario più comodo per raggiungere la punta Lamarmora prende avvio dalla alta valle del rio Aratu, nel comune di Desulo. La presenza di due confortevoli rifugi montani, “Su Filariu” a 1370 metri e “Sa Crista” a 1505 metri, entrambi con ottima cucina e guide esperte, consente di effettuare l'escursione a piedi, in mountain bike o a cavallo in giornata, oppure proseguire per gli altrettanto splendidi e selvaggi versanti orientali del Gennargentu di Arzana o di Villanova Strisaili (in comune di Villagrande) dove si può giungere al rifugio “Su Calavrigu”, tappa orientale della “Alta Via del Gennargentu”.
Le difficoltà sono modeste ma è indispensabile un abbigliamento adeguato alla media montagna ed un minimo di preparazione. Una gita sulle maggiori vette della Sardegna,

 magari per assistere al sorgere della “bella Stella”, costituisce uno dei modi migliori per vivere una esperienza memorabile.


P.S. Ho tratto le informazioni di questo post, dai lavori del Geologo Dottor  G. Stefano Andrissi e mi scuso con lui per il tardivo inserimento delle fonti dovuto alla mia inesperienza in qualità di blogger. Chi fosse interessato ad ulteriori dettagli può riferirsi al seguente link:
Riferimento fonti








1 commento:

  1. Grazie per aver pubblicato questo articolo che ho scritto alcuni anni fa per il quotidiano l'Unione Sarda! L'autore del "pezzo" G. Stefano Andrissi

    RispondiElimina