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domenica 24 luglio 2011

Selvaggio Supramonte.

Trekking a Supramonte
 Il trekking si snoda attraverso le località ed i monumenti naturali più belli del Supramonte, tra i territori di Orgosolo e Dorgali, una vasta area della Sardegna centrorientale, con splendide montagne, grotte e profondi canaloni.
Con i fuoristrada si percorreranno le piste del Supramonte di Orgosolo, con soste nei punti più panoramici, per poi proseguire a piedi per i Nuraghi Mereu e Gorroppu. 
In seguito si percorrerà il sentiero per Campu Doinanicoro, tra paesaggi selvaggi e solitari, con soste nei punti più belli o accanto alle antiche capanne abbandonate dei caprai.
Visita al bellissimo pianoro carsico di Doinanicoro con il suo panoramico Nuraghe, ed alla gigantesca dolina carsica di Su Sercone, con discesa al suo interno, dove dimora un raro bosco di Tassi. 
Possibilità di osservare i mufloni e l’aquila. Il pernottamento notturno avverrà all'interno delle antiche capanne pastorali, o all'aperto, in sacco a pelo. 
Il giorno seguente si scenderà verso il villaggio Nuragico di Tiscali, con visita all’interno.
Si proseguirà ancora in discesa, fino alla valle di Oddoene, dove verrà consumato un pranzo barbaricino presso l'ovile del capraio.





La storia dei cuiles
Addentrandosi nel vasto territorio supramontano capita spesso di notare delle solitarie e spesso fatiscenti costruzioni in pietra e travi di legno che in lingua sarda vengono chiamati cuiles. Essi sono stati per diverse generazioni le dimore dei pastori che dai paesi vicini (Orgosolo, Oliena, Dorgali, Baunei, Urzulei etc.) si spingevano nel Supramonte per allevare capre e maiali e ricavare tutti i prodotti tipici di questo allevamento.
Era un' esistenza dura e solitaria che richiedeva enormi sacrifici e forniva il tanto giusto per sopravvivere, un' esistenza scandita dai ritmi incessanti del duro lavoro, dove gli unici momenti liberi erano quelli dedicati al riposo dalle fatiche della giornata. Ai giorni nostri le cose sono cambiate, i pastori hanno ormai abbandonato da decenni il supramonte e i loro figli, tranne alcuni casi eccezionali, non hanno nessuna intenzione di proseguire la tradizione dei loro antenati, considerato anche il ben poco guadagno che oggi essi ne avrebbero in rapporto al sacrificio e al duro lavoro che questa vita richiede .
Pastori eremiti
Alcuni di questi pastori, ormai quasi centenari, raccontano del proprio passato quasi ripudiandolo: "è una vita dura e spietata che non auguro a nessuno, tantomeno ai miei figli", neppure si puo affermare che portino dentro di se una visione romantica dei luoghi dove trascorrevano le loro giornate: gole selvagge e profondi canaloni (i cosidetti bacus), impervi sentieri e oceani di campi solcati da attraversare, forre, grotte e doline dove a volte dovevano rincorrere le capre che si allontanavano dal gregge, strapiombanti pareti rocciose su cui si arrampicavano con la disinvoltura e sicurezza di un navigato alpinista e con l'ausilio di impressionanti i'scala e fustes costruite da loro stessi con grande maestria. Insomma, un vero paradiso naturalistico qual'è oggi ai nostri occhi il Supramonte, ma un vero supplizio per coloro che ci vivevano e abitavano; e laddove ognuna di queste meraviglie modellate nei secoli dalla natura non rappresentava ai loro occhi nient'altro che un altro ostacolo da superare nel più breve tempo possibile. Per altri il ricordo è meno severo e in alcuni casi quando ne parlano si legge nei loro occhi anche una certa dose di nostalgia e rammarico per un epoca ormai tramontata, un periodo sicuramente duro e difficile ma che permetteva di godere di un assoluta libertà e autonomia, molto spesso circondati da luoghi di estrema bellezza e suggestione che se non altro aiutavano a sentire meno gli effetti di una vita trascorsa in completa solitudine. Alcuni di loro hanno infatti costruito gli ovili nei posti più impensabili, bellissimi insediamenti pastorali sistemati come dei nidi d'aquila quasi a picco sul mare o su esigui terrazzini da cui era però possibile godere di panorami mozzafiato.
All'interno dei cuiles, e nei dintorni di essi, laddove venivano svolte tutte le mansioni e i compiti che questo tipo di lavoro comportava, il pastore viveva per la maggior parte dell'anno, tornando saltuariamente al paese per rifornirsi di pane e altre provviste o di abiti puliti. La sua esistenza ruotava intorno all'insediamento pastorale e spesso, la famiglia stessa lo seguiva in montagna per aiutarlo. I figli venivano abituati sin dalla prima adolescenza a seguire il padre in montagna, e non di rado erano loro che si occupavano di controllare il gregge mentre il padre si assentava o tornava al paese. Il brusco e rapido cambiamento che subivano quando venivano portati via dall'ambiente sereno della casa e dalle cure premurose della propria madre, forgiava il loro carattere e gli rendeva avezzi a ogni genere di disagio e di timore; col passare del tempo si abituavano a convivere con l'asprezza e la solitudine dei luoghi, a farsi in qualche modo rispettare se qualche malintenzionato si avvicinava al gregge, a sopportare le rigide temperature notturne all'interno dell'ovile cosi come il torrido e afoso caldo dell'estate, a riconoscere e a far proprie le ombre e le figure minacciose che la foresta in simbiosi con la mente di un bambino riesce a creare la notte.

GLI OVILI DEL SUPRAMONTE
La tecnica costruttiva

Gli ovili supramontani sono un' opera di grande ingegneria, e in buona parte, dicono gli esperti, derivata dalla tecnologia costruttiva delle capanne nuragiche e quindi tramandata per secoli e secoli dall'arcaica civiltà dei pastori nuragici. D'altra parte, le affinità e sopratutto le esigenze delle due civiltà non erano molto dissimili fra loro, e nonostante i pastori abbiano abitato su questi luoghi fino agli anni 50-60 del secolo scorso, la loro esistenza trascorreva dedicandosi esclusivamente di agricoltura e pastorizia, così come quella dei pastori di millenni orsono.
La costruzione del cuile richiedeva tempo e pazienza, era necessario trovare le travi in ginepro o i tronchi in leccio adatti, cosi come le lastre di calcare necessarie per costruire il muro perimetrale e trasportarli sulle spalle attraversando pericolose cenge e strapiombi per ritornare nella zona scelta per la costruzione.

E' un villaggio nel cuore del Supramonte e risale all'ultima fase dell'età nuragica (IV secolo a.C.).
Lo spettacolo che si presenta al visitatore è di estrema bellezza: i resti dell'insediamento sono sistemati, infatti, all'interno di una gigantesca cavità calcarea, generata da uno sprofondamento tettonico.
Prima che l'inciviltà dei visitatori lo distruggesse il villaggio era in condizioni di conservazione ottimali. Adesso sono visibili solamente le strutture di alcune capanne, ma la visita ripaga della fatica necessaria per raggiungerlo.

L'abitato rappresentò sicuramente uno degli ultimi baluardi dell'ostinata resistenza, che gli antichi sardi opposero ai romani.

Al centro della dolina si erge una roccia gigantesca, circondata da un boschetto di alberi di leccio.
Nel fianco della rupe si apre una grande cavità che assolveva alla funzione di accesso e aerazione per l'insediamento.

La capanna principale, chiamata "su Pinnettu" o "Su Barracu" a seconda dei luoghi, veniva dunque costruita creando il classico muro perimetrale in pietra calcarea del diametro di circa 4 metri ed erigendo la struttura portante di forma conica con le travi di ginepro o di leccio dell'altezza di circa 3-4 metri. All'interno di essa veniva costruito con delle pietre disposte in forma rettangolare il focolare, "su foghile" e intorno alle travi di ginepro venivano creati dei ripiani con dei listelli ove il pastore riponeva o appendeva gli strumenti da lavoro o le forme di formaggio, i prosciutti o i cagli destinati all'invecchiamento. Nella parte superiore della capanna principale veniva infine eretto una sorta di cappello chiamato "Su cugumale" che permetteva di isolare l'interno del cuile dall'acqua piovana o dalla neve e di far scorrere l'acqua lungo le travi di ginepro. La forma e la disposizione delle travi permetteva inoltre di far fuoriuscire il fumo interno verso l'esterno attraverso gli interstizi del legno creando così un ambiente asciutto e confortevole che si manteneva a temperatura costante. Il tetto veniva infine foderato da frasche, che garantivano un'efficiente copertura. 

Su Cugumale: il "capello" sommitale
Oltre alla capanna principale veniva costruita spesso una capanna ausiliaria, simile alla prima ma molto più semplice, dove il pastore disponeva gli attrezzi da lavoro e il materiale. Nei dintorni venivano costruiti il cortile per le capre, "sa corte" e delle stanzette, "as cerinas o cherinas" dove venivano sistemati i capretti appena nati. Per i maiali venivano invece costruiti dei ricoveri meno raffinati denominati "Cumbulas", di forma rettangolare e di altezza limitata, con un piccolo cortile per i maialetti.

GLI OVILI DEL SUPRAMONTE
  Sulle tracce dei Pastori

Purtroppo, molti di questi insediamenti, ormai abbandonati a se stessi e alle intemperie stanno cadendo in rovina, altri sono andati bruciati a causa dell'ignoranza e superficialità di alcuni escursionisti e cacciatori, mentre in altri casi si è arrivati a distruggerli per portar via le travi di ginepro utilizzate poi per arredare appartamenti e villette al mare. Urge quindi un immediato ed opportuno intervento da parte delle autorità locali affinchè queste opere, esempi di una civiltà e di una tradizione che riguarda il nostro passato e la nostra cultura, non scompaiano abbandonate a se stesse.
C'è chi ha giustamente suggerito il loro recupero e restauro utilizzando le tecniche costruttive tradizionali e proponendo una rete di sentieri escursionistici che toccherebbe tutti i principali insediamenti, il tutto coadiuvato da pannelli informativi con illustrati i punti di maggiore interesse, le tavole di orientamento e i livelli di difficoltà dei vari percorsi.
Villaggio Tiscali



L'ovile Piddi, lungo il Selvaggio Blu


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